Potrebbe non essere una coincidenza. La Toscana, con le sue colline, i vigneti e le valli fluviali, è una delle regioni italiane più stimolanti. Ha dato i natali al Rinascimento e rimane un epicentro della lingua, dell’arte, della moda e del turismo. Quando vivevo nel capoluogo di regione Firenze – incantato anche dalla musica rimbalzante, mordace e seducente della lingua – ho imparato dai miei amici nativi che l’accento toscano era un punto di orgoglio. Nelle lunghe e languide sere d’estate, soffiavano e sussurravano attraverso le loro “c” ordinando bicchieri di ciao hoca (invece della Coca Cola) per la tavola, solitamente a pochi passi da uno spettacolo o omonimo del poeta più famoso della città, Dante Alighieri.
Alighieri ha svolto un ruolo importante nello sviluppo della lingua italiana. Nato a Firenze nel 1265 (dove la sua casa è ora un museo), scrisse il classico intramontabile, la Divina Commedia, un poema narrativo in cui descrive un viaggio attraverso l’inferno, il purgatorio e il paradiso guidato da Beatrice, la sua sposa ideale. Ma oltre a scrivere qualcosa di straordinario, ha fatto qualcosa di radicale per il suo tempo; scrisse nel suo nativo dialetto toscano, sebbene il latino fosse la lingua preferita dall’élite colta. Ha anche difeso la sua scelta in un libro intitolato De Vulgari Eloquentia (Eloquenza in volgare). Negli anni che seguirono, fu commemorato come un campione della regione e della lingua.
Sorprendentemente, l’interesse per il lavoro di Alighieri non è mai diminuito. Ecco perché tanti viaggiatori affollano le tante parti di Firenze che portano la sua immagine. C’è una sua statua che sembra pesante e tiene una lira nel famoso Museo degli Uffizi, e un’altra nella tentacolare Piazza Santa Croce. Le sculture dominano la folla, come per vegliare. Ma sebbene Dante sia lo scrittore italiano più noto, non è l’unico ad aver plasmato la lingua italiana come la conosciamo oggi.
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