Nessuno menzionava ancora il Cambronne, ei cattivi avevano parlato di Lapalisse (che era però un segnale e in realtà si chiamava Jacques de Chabannes de La Palice), ma i più intellettuali provocarono George Boulanger, che si propose alla fine dell’Ottocento senza successo Per riportare l’ordine nella Terza Repubblica e invece finì per suicidarsi sulla tomba della sua amata. La storia della Francia è ricca di generali, da Bonaparte a de Gaulle, assassini, vittoriosi e infine sconfitti. Non sorprende quindi che in questi tempi di incertezza, il generale de Villiers, l’ex capo di stato maggiore della difesa, subito fucilato da Macron, temendo una possibile guerra civile, si proponga come uomo della Provvidenza.
Ha sessantaquattro anni, il visconte Santinion, molto cattolico, nato a Boulogne, in quella terra di Vandea dove la famiglia ha documentato le sue radici dal 1595, Pierre-François Marie Jules de Villiers, secondo un sondaggio Ifop, il 20% dei francesi sarà già dalla sua parte, in Per lo più over sessantacinque (mentre più della metà dei giovani afferma di non sapere nemmeno chi sono) e di destra, ma non solo. De Villiers è un populista “à l’ancenne”, perché non poteva essere vandeano (“je me sens du peuple”), parla di “amore delle classi popolari”, dell’elemosina ai più deboli, del riscatto per la gioventù di Beni che conosceva bene in Esercito. C’è anche una parte delle giacche gialle che guarda, mentre l’estrema destra lo guarda con sospetto ed Eric Zemmour, la star televisiva di quel mondo, lo paragona con sospetto al Dalai Lama. La sinistra non ci pensa, ma gli iconici guerrieri di Charlie Hebdo lo avevano addirittura battezzato a modo loro in un cappuccio e in un cartone animato dove il volto caricaturale di De Villiers ha una carnagione marmorea: Marshall Kebbe, Orecchie del Generale, il settimo programma aziendale (che per chi non è francese e non almeno 60 erano Una serie di film sulle avventure dell’esercito, con Aldo Macione).
Secondo Le Monde, è l’uomo che “sussurra alle orecchie di grandi gentiluomini e scrive libri di successo”. Nei giorni scorsi ha raddoppiato le interviste seguendo il percorso legale di chi si prepara a “declinare” in politica, sfidando così Emmanuel Macron nelle elezioni presidenziali della primavera 2023. Certo, ciò non necessariamente accade, ma pochi ora dubitano che ci proverà. L’altro giorno, è stato visto nella Crystal Lounge dell’Hotel Lutetia nel centro di Parigi mentre ride e prende in giro Macron con François Hollande. È stato il galà d’autore più venduto l’anno scorso, e tra questi è stato meritato, perché esce al ritmo di uno all’anno. Il primo si intitolava “Servir”, il secondo “Qu’est-ce que c’est un chef”, l’ultimo in biblioteca poco più di un mese fa, “L’équilibre est un coraggio” (citazione di Albert Camus) ha già venduto di più. Da 30mila copie. Una sequenza non banale, che sembra seguire le tappe dell’escalation, con una conclusione già scritta nelle prime pagine: “Ho sperimentato direttamente la rottura avvenuta nella nostra società e l’urgenza di una vera riconciliazione nazionale, che nega le divisioni ma sa superarle”. Bello e buon programma politico. Riconciliazione? “Sono una voce indipendente e autentica sul conflitto che riverbera nel vuoto di oggi”.
Il destino della Francia è cercare un uomo che sappia “riunirsi” in un Paese definito nella maniera più moderna un “arcipelago” di tribù in guerra. Tuttavia, l’uomo è stato avvertito. El Figaro ha detto che “puoi servire il tuo Paese non solo con un mandato elettorale”. Gli uomini del suo entourage negano le ambizioni presidenziali, ma intanto c’è una troupe che lavora per lui ei media hanno una moto. Guardando indietro agli ultimi tre anni, nulla sembra casuale. Tutto è iniziato con le lacrime, quando Emmanuel Macron, da poco eletto, de Villiers, allora capo di stato maggiore, è stato subito licenziato da un pugno di caserme: “Non mi stancherò dei tagli difensivi”. Macron è stato il giovane acquirente che è arrivato all’Eliseo e ha reagito come previsto, anche se de Villiers aveva una buona reputazione: non accadeva dal 1958 ai tempi di de Gaulle.
Diventare presidente è un’ambizione di famiglia, come ha effettivamente provato suo fratello maggiore Philip, nel 1994 e nel 2007, con il 4,7% e poi il 2,2%. Il suo “Movimento per la Francia” era – manco a dirlo – un nazionalismo militante conservatore quasi vicino alle storie. Dagli anni ’80, Philip ha inventato un parco a Puy du fou (Beech Hill) sul terreno della sua famiglia, a Vendean Disneyland. Prima di Covid, era visitato ogni anno da due milioni di spettatori che sognavano di rivivere i momenti ribaltati della storia attraverso feste di falchi, le leggende dei Santi Cavalieri e la saga dei Vichinghi e dei Cavalieri di Richelieu. L’ultimo risultato politico degno di nota di Filippo è stata una visita intermittente di Vladimir Putin a Yalta nella Crimea recentemente riaperta. Colpisce il romanzo che lui stesso ha fornito nella sua autobiografia (Le moment est venu de dire ce que j’ai vu), pubblicato da Albin Michel nel 2015): “The Caesar is Back”, che scrive prostrandosi e in movimento. Al tiranno del Cremlino, il visconte di Vandea, ha chiesto niente di più e niente di meno per salvare la Francia e l’Europa cristiana dall’americanismo imperante: “In nome di Pushkin, Tolstoj, Balzac e Victor Hugo”.
Pierre de Villiers appare più episodico del suo fratello ecumenico e armonico. Quando parla un maschio di Aragona, anche Edgar Morin, Alan Finkelkraut, viene preso sul serio da una rivista come Philosohie. Si vanta di navigare a Parigi in metropolitana e mostra il suo smartphone con un’app che rileva le linee più trafficate in tempo reale. Insomma, un uomo che segue le orme di un’epoca in cui la sua candidatura potrebbe non essere affatto stravagante. Potrebbe non essere nemmeno un candidato nel 2023, ha detto Emmanuel Macron in un’intervista di due ore e mezza condotta una settimana fa sul sito di Prut per la prima volta: “In questi tre anni sono successe molte cose inaspettate …”
Così anche il generale può avere la sua possibilità.
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